Il
diritto alla riscossione di un credito è un diritto inalienabile
del creditore. Tuttavia esistono delle situazioni in cui non sussistono le
condizioni affinché il credito possa essere recuperato. Queste sono legate
per lo più in relazione alla situazione economico-patrimoniale del debitore.
DEFINIZIONE
DI CREDITO INESIGIBILE PER LEGGE
Le
condizioni per cui un credito sia dichiarato a tutti gli
effetti inesigibile sono dettate dalla Legge 134/2012.
Si
considera un credito automaticamente inesigibile qualora lo stesso
sia scaduto da almeno 6 mesi e sia di modesto importo.
Si
parla di diverse somme limite. Gli importi sono di 2.500 euro per le imprese
che fatturano fino a 150 milioni di euro e di 5.000 euro per quelle che
fatturano di più.
Fatta
salva la categoria di crediti appena citati, considerati di modesta entità,
tutti gli altri crediti da recuperare seguono la normativa ordinaria sia
dal punto giuridico che fiscale.
Si
parla infatti di inesigibilità di un credito nel momento
in cui il creditore possa fornire prova documentata e con elementi
certi e precisi che non lasciano spazio a dubbi. In questo caso,
si parla di:
–
attività di recupero credito che hanno avuto esito negativo;
–
di comprovato stato di insolvenza del debitore;
–
di irreperibilità dello stesso;
–
di procedure concorsuali come fallimento, accordo di ristrutturazione dei
debiti ecc. in capo al debitore.
Quando una società è stata cancellata con debiti
ancora da pagare
In
caso di cancellazione dal Registro delle Imprese di una Società di Persone
ne rispondono illimitatamente con il proprio patrimonio personale e
solidalmente tra loro i soci, per
cui tutte le azioni di recupero vanno indirizzate verso chi deteneva le
partecipazioni sociali che ne rispondono con il loro patrimonio personale.
Per
le Società di Capitali, quindi per i soci limitatamente
responsabili rispondono delle obbligazioni sociali soltanto nei
limiti delle azioni o quote sottoscritte e, comunque, fino all’ammontare delle
somme da essi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione salvo,
ovviamente, il caso in cui i soci abbiano garantito in proprio determinati
debiti sociali. Questa ulteriore responsabilità rimane tuttavia circoscritta
alle garanzie personali prestate dai soci e non può essere estesa ad altri
creditori sociali.
Qualora
dunque esistano ancora crediti sociali dopo la cancellazione della società dal
Registro delle Imprese, i creditori non possono più
agire nei confronti della società, che ormai si è estinta, ma possono
invece agire nei confronti degli ex soci. Per le Società di Capitali nei limiti delle somme da questi riscosse in
base al bilancio finale di liquidazione e, in caso di
incapienza (Piano di Riparto a zero o inferiore alla somma da recuperare)
ne rispondono i liquidatori.
Dopo
l’estinzione della società, quindi, o ne risponde il liquidatore (nel
caso specifico di cui sopra) oppure ciascun socio per tutto il credito
vantato dal creditore sociale insoddisfatto, solidalmente con gli altri
soci; il socio che ha pagato l’intero intraprenderà l’azione di regresso nei
confronti degli altri soci per le quote di loro spettanza.
Quanto
al termine della prescrizione dell’azione del creditore sociale
insoddisfatto verso il socio, la giurisprudenza ritiene che si applichi quello
ordinario, decennale, a decorrere dal momento in cui inizia a maturare
il termine di prescrizione previsto per l’azione nei confronti della società.
Cosa dice l’Agenzia delle Entrate
L'Agenzia
delle Entrate con la Circolare n.26/E del 01/08/2013 ha
fissato i criteri legali che deve possedere un credito perché possa essere
validamente considerato inesigibile e di conseguenza fiscalmente deducibile,
disponendo tra l'altro che l'inesigibilità del credito debba essere comprovata
dal preventivo accertamento definitivo dello stato di incapienza del
debitore documentato da "elementi certi e precisi".
La
predetta Circolare ha altresì stabilito che la relazione circostanziata
rilasciata dal proprio legale di fiducia o da un'agenzia di recupero crediti legalmente
autorizzata, dove vengono descritte tutte le attività di recupero (verso la
società e in particolare verso i liquidatori e i soci) non andate a buon fine, possa
essere ritenuta un elemento valido a supporto della deducibilità fiscale del
credito, a condizione che venga adeguatamente documentata la definitiva
impossibilità del debitore a far fronte alle proprie obbligazioni.
In
caso di recupero credito con esito negativo, l’Agenzia (o il legale) provvederà
a rilasciare una relazione finale d'intervento che attesti l'attività
esercitata unitamente alle motivazioni che hanno reso infruttuosa l'attività di
recupero.
Questa
relazione, sulla base della normativa vigente ed in presenza dei necessari
presupposti, potrà essere considerata un adeguato elemento di prova a fini
fiscali per poter portare a perdita il credito inesigibile.